Articolo tratto da Quattromura del 02/06/2001
Tra i compiti dell’amministratore di condominio risulta di rilevante importanza quello della redazione annuale del rendiconto della gestione al fine di portare a conoscenza dei condomini l’ammontare delle spese sostenute nell’interesse comune. Tale principio sancito dall’art. 1130 c.c. (L’amministratore, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione) è l’unica imposizione prevista dalla normativa.
Precisiamo infatti che il condominio viene considerato ente di gestione e pertanto non sottoponibile alla normativa societaria e che il rapporto con l’amministratore viene considerato quale fattispecie del rapporto di mandato. Infatti la legge non ha stabilito, così come per la legislazione societaria, una forma obbligatoria di presentazione della documentazione. Pertanto, le uniche direttive che l’amministratore deve rispettare nell’esplicitazione della sua gestione si riferiscono al criterio di cassa, introdotto di recente, e ad una forma “comprensibile”. In assenza di una specifica legislazione si è sviluppata una discreta movimentazione giurisprudenziale che ha richiesto una forma sempre più complessa di rendicontazione a seconda delle dimensioni del condominio.
Infatti è di palese assurdità che società di piccole dimensioni abbiano degli obblighi contabili mentre condominii di rilevanti dimensioni con gestione di centinaia di milioni annualmente non abbiano alcun tipo di imposizione contabile. Viene pertanto richiesto, soprattutto dai cultori della ragioneria, un tipo di gestione contabile magari di tipo computistico per gli stabili di dimensione notevole.
In verità tali disquisizioni appartengono al passato essendo divenuto ormai indispensabile l’utilizzo di programmi di contabilità al computer. Ritornando alla forma in cui deve essere presentato un bilancio condominiale è giusto chiarire che, in assenza di uno standard stabilito dalla legge, ci si è adeguati secondo consuetudine.
Per cui è prassi che una documentazione completa debba includere i seguenti prospetti: innanzi tutto il conto economico che confronti il totale delle entrate con quello delle uscite e dal quale sia possibile rilevare un avanzo o un disavanzo di gestione; la specifica delle voci di spesa effettivamente sostenute nel periodo di riferimento divise per le tabelle di competenza; il riparto delle stesse tra tutti i condomini secondo i relativi millesimi confrontando i totali con l’ammontare delle quote versate mettendo quindi in evidenza il conseguente conguaglio di tutti i condomini; la situazione di cassa ed infine la situazione patrimoniale che permette di effettuare opportune considerazioni sulla composizione qualitativa e quantitativa del patrimonio comune e soprattutto di poter confrontare diversi periodi di gestione.
Altro cenno di considerazione merita la tenuta dei documenti giustificativi: secondo alcuni non è applicabile al condominio l’art. 2220 c.c. che stabilisce per le imprese in dieci anni dall’ultima registrazione il termine di conservazione delle scritture contabili e relative fatture dovendosi invece applicare i fini prescrizionali di cui all’art. 2946 e segg. c.c. ( cinque anni per i pagamenti periodici e dieci per i contratti d’appalto); per altri, invece, richiamando l’art. 1713 c.c. relativo alla disciplina del rapporto di mandato, si determina in dieci anni il termine di conservazione della documentazione condominiale.
Per cui, come già evidenziato in passato, in assenza di una normativa completa e specifica della materia, ci saranno sempre motivi di contestazione che solo il parere giudiziale potrà risolvere con inutile aggravio di spese a danno sempre e comunque dei condomini. Richiamiamo come sempre l’attenzione sulla scelta degli amministratori che, se iscritti ad un’adeguata associazione di categoria, potranno fornire sicuramente una prestazione più soddisfacente.
Mariano Russo